Il mondo della cannabis è estremamente complesso. Negli ultimi anni complici diversi cambiamenti normativi, abbiamo imparato a conoscerlo come mai prima. Entrare nel dettaglio delle sue peculiarità vuol dire, per forza di cose, prendere in considerazione la cannabis autofiorente. Di cosa si parla quando la si chiama in causa? Scopriamolo assieme nelle prossime righe.
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Cos’è la cannabis autofiorente?
La cannabis autofiorente è una tipologia di pianta i cui semi permettono di ottenere esemplari non fotoperiodici – indi non strettamente vincolati ai cicli di luce – e in grado di fiorire in 2/4 settimane circa. Per quanto riguarda il raccolto, invece, è necessario aspettarne circa 10 (parliamo ovviamente di una situazione in cui si considera come punto di partenza la semina).
Come tutto è cominciato
Venduti sia presso negozi fisici sia da e-commerce di successo come Fast Buds, i semi di cannabis autofiorente hanno alle spalle una storia i cui primi passi concreti sono stati compiuti negli anni ‘70, grazie a breeder che, ai tempi, effettuarono esperimenti sulla Cannabis ruderalis, varietà proveniente da zone del mondo dal clima rigido come la Siberia e la Russia e nota per la sua capacità di resistere a temperature particolarmente rigide.
Un’ulteriore svolta è arrivata al principio degli anni 2000 con l’immissione sul mercato della cosiddetta Low Ryder, varietà di cannabis che, ancora oggi, è considerata il primo esempio di autofiorente commercializzata su larga scala. Per amor di precisione è il caso di ricordare che, almeno all’inizio, questa innovazione non è stata accolta in maniera positiva. Gli esperti, infatti, lamentarono fin da subito la scarsa potenza delle cime.
I consigli per una coltivazione di successo
I semi di cannabis autofiorenti, noti per la loro semplicità di gestione e per l’oggettiva capacità di sopportare meglio gli errori dei principianti, devono essere coltivate tenendo conto di alcune linee guida specifiche. Per quanto riguarda il terriccio, è bene assicurarsi che sia soffice – più soffice rispetto a quello che, normalmente, si utilizza per la coltivazione delle varietà fotoperiodiche – e ben drenato.
Per quanto riguarda quest’ultimo punto, rammentiamo che, nel caso in cui i parametri non dovessero risultare soddisfacenti, si può aggiungere della perlite.
Quali sono i contro?
Al primo impatto, le piante di cannabis autofiorenti possono rivelarsi ricche di vantaggi interessanti. Come in tutti i casi, è bene guardare anche il rovescio della medaglia e considerare i contro.
Quali sono? In primo luogo è il caso di ricordare che, nonostante i passi in avanti compiuti negli ultimi decenni, le autofiorenti hanno una resa di gran lunga inferiore rispetto alle piante di cannabis fotoperiodiche.
Da non dimenticare è anche il fatto che, in considerazione della loro rapidità di crescita, le piante a cui sono dedicate queste righe sono meno propense a essere sottoposte a procedure di training. Questo vale soprattutto quando si parla di quelle ad alto impatto, come per esempio la potatura e la cimatura.
Impossibili da clonare, le piante di cannabis autofiorenti si prestano meno ai rinvasamenti (per essere sinceri, non li gradiscono affatto).
Come concimarle
Concludiamo con un piccolo focus sulla gestione del concime. L’optimum prevede il fatto di non esagerare con l’apporto di sostanze nutritive. In confronto alle quantità a cui si fa riferimento quando si coltiva cannabis fotoperiodica, i dosaggi necessari sono di gran lunga inferiori.
Numeri alla mano, rispetto alle quantità necessarie alle piante fotoperiodiche si parla del 25/50% di nutrienti in meno.
Cosa dire, invece, della temperatura? Che se si opta per la coltivazione indoor un buon parametro è quello dei 21°C. In merito all’umidità, invece, è bene mantenerla più alta nel corso delle prime settimane di coltivazione. Man mano che passa il tempo, è bene ridurla raggiungendo livelli compresi tra il 40 e il 50%, così da prevenire l’insorgenza di muffa sulle foglie.